Il paese dello Yann (1910) by Lord Dunsany

Il paese dello Yann (1910) by Lord Dunsany

autore:Lord Dunsany
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2015-07-25T16:00:00+00:00


Il campo

Quando a Londra già si sono visti cadere i fiori primaverili, e l'estate è maturata e decaduta con quella rapidità con cui trascorre nelle città, e tuttavia siamo ancora a Londra, allora, in un momento imprevisto, la campagna solleva il capo fiorito e ci chiama con la sua voce chiara, urgente e imperiosa. Monti e colli paiono sorgere come sorgerebbero sull’orizzonte celeste le file angeliche di un coro dedito a riscattare le anime indurite nel vizio, strappandole ai loro tuguri.

Il traffico stradale non fa abbastanza rumore per soffocarne la voce, né le mille insidie londinesi potrebbero distoglierci dal suo richiamo. Una volta che lo si è udito, ci è impossibile imbrigliare la fantasia, che si sente affascinata dal ricordo di un qualunque ruscello rurale, coi suoi ciottoli colorati…

L’intera Londra cade vinta da esso, come un Golia metropolitano attaccato di sorpresa.

Da molto lontano vengono queste voci interiori, molto lontano in leghe e in remoti anni, perché quei monti e quei colli che ci sollecitano sono i monti che «furono»; quella voce è la voce del passato, quando il re degli gnomi soffiava ancora nel suo corno.

Io le vedo ora, quelle colline della mia infanzia — perché sono loro a chiamarmi — le vedo col loro viso rivolto verso un tramonto di porpora, quando i fragili profili delle fate, affacciandosi tra le felci, spiano

Il calar della sera. Sopra le pacifiche sommità non esistono ancora né invidiabili magioni né agiate residenze, che oggi hanno cacciato la gente del luogo sostituendola con effimeri inquilini.

Quando sentivo interiormente la voce delle montagne, andavo loro incontro pedalando in bicicletta, perché in treno perdiamo l’effetto di vederle avvicinarsi a poco a poco, e non ci dà il tempo di sentire che andiamo spogliandoci di Londra come di un antico e pertinace peccato.

Né si passa attraverso i piccoli villaggi, che custodiscono lungo il cammino alcune delle ultime notizie dei monti; né ci rimane quella sensazione di meraviglia di vederli sempre lì, sempre gli stessi, man mano che ci avviciniamo alle loro falde, mentre in lontananza, distanti, i loro sacri volti ci guardano, accoglienti. In treno le incontriamo all'improvviso, uscendo da una curva; eccole li repentinamente tutte, tutte sedute sotto il sole.

Io credo che se fuggissimo il pericolo di qualche immensa foresta tropicale, le belve feroci decrescerebbero in quantità e crudeltà man mano che ci allontanassimo, le tenebre si andrebbero dissipando a poco a poco, e l’orrore di quel luogo finirebbe per svanire. Ebbene: man mano che ci si avvicina alle estreme propaggini di Londra e le creste dei monti cominciano a manifestare la loro influenza su di noi, ci sembra che le abitazioni urbane siano più brutte, le strade più abbiette, l’oscurità maggiore, e che gli errori della civiltà si mostrino ancor più evidenti al disprezzo della campagna.

Dove la bruttezza tocca il suo apogeo, nel luogo più orrendo e miserabile, ci sembra di sentir gridare l’architetto: «Ho raggiunto i vertici dell’orribile! Benedetto sia Satanasso!». In quell’istante, un ponticello di mattoni giallognoli ci si presenta come una porta d’argento filigranato, aperta sul paese delle meraviglie.



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